
Parlami d’amore, Mariù!/Tutta la mia vita sei tu!/Gli occhi tuoi belli brillano/Come due stelle scintillano. Sulle note malinconiche della canzone inizia tutto. Soltanto un uomo, un microfono e una sedia, perché bisogna essere scabri ed essenziali per essere cantori delle storie ricevute in dono, rubate oppure semplicemente ascoltate. Un narratore lontano fisicamente da L’Aquila, sua terra natale, eppure ad essa così intimamente vicino. Incomincia a parlare e lentamente diventa la voce spezzata della sua comunità. Mette insieme i calcinacci che sono rimasti giù e per farlo non bastano le parole, allora utilizza la danza, la musica, il movimento, il dialetto, il grammelot.
Ma le voci si sovrappongono, si intersecano in un groviglio dal quale è difficile uscire. Ne emerge a fatica un personaggio senza nome. E’ un poeta-filosofo, un po’ ubriacone. Tutti lo conoscono, ma pochi lo frequentano. Lui è quello che ha resistito, che non ha voluto piegarsi alla realtà dei fatti, che ha parcheggiato la macchina davanti ai resti della sua casa e lì è rimasto a dormire, una sera dopo l’altra.
Lo spettacolo, vincitore (ex equo con “Inossidabile miele” di Domenico Cucinotta) dell’ultima edizione del Festival Inventaria nella sezione monologhi, racconta attraverso una raccolta di storie e testimonianze il terremoto dell’Aquila del 2009.
Una messa in scena efficace e coinvolgente, Guerrieri conduce abilmente lo spettatore fra le sue macerie senza cadere in facili sentimentalismi.Con leggerezza racconta la fragilità dell’uomo di fronte all’ imprevedibilità della Natura. Un tema attuale che, senza sfociare nella retorica o nella commiserazione, innesca una riflessione profonda e mai banale.
“Resta immobile, non scappare, sii come una quercia che affonda le sue radici nella terra” sembra sussurrare, “ e anche se dopo, tutto resterà immobile e uguale a prima, resisti”.