Nel 1951 Stanley Kowalsky aveva il volto di Marlon Brando e Blanche Du Bois quello di Vivien Leigh (si, quella di “Via Col Vento!”) nell’adattamento cinematografico di Elia Kazan in “Un tram che si chiama Desiderio”. Un dramma del 1947 a firma di Tennessee Williams. Roba non da poco insomma. Quindi, il “coraggio” della compagnia romana dei “Bro&Sisters” va sottolineato a prescindere dal giudizio finale. Misurarsi con un testo che vide l’Oscar come migliore attrice farebbe rinsavire chiunque a lasciare perdere ed invece no. Il giovane Luca di Nicolantonio direttore artistico della Chaplin Academy of performing Arts, è evidente che ama le sfide che possono portare dolori e con lui i Bro&Sisters.
Di Nicolantonio ha curato regia e testo, addattandolo al profilo degli attori ed allo stesso teatro, in breve, merita un plauso aprioristico. Ne ha tratto un lavoro teatrale rinominato “Un tram chiamato Desiderio” che ha allargato eccezionalmente il racconto e pure lo stesso Teatro di via Rubattino a Roma! Come? Attori che attraversano la sala, escono dalla porta centrale divenuta abitazione! Un gioco di luci ed ombre che ingrandisce e punta sul cast l’attenzione, smorza animi e accresce “suspense”. Su quel piccolo palco che ha omaggiato il drammaturgo, scrittore, sceneggiatore e poeta statunitense il pathos non è stato da meno rispetto al grande titolone holliwudiano. Tre, i ruoli principi a cui ruotano figure minori e che coincidono pure con i fondatori della Compagnia “fraterna”: Simona Mazzanti, Valentina Grimaldi e Gianpaolo Quarta. Per un paio d’ore il viaggio sul tram attraversa l’animo umano che può reagire nel modo più surreale possibile ad altri drammi mai elaborati, la ricchezza che diventa miseria, l’abbandono e la solitudine, la mancata comprensione, un corpo che diventa appetibile nella debolezza e scrupoli che diventano micidiali alla coscienza.
La tenuta di famiglia è andata persa, troppi i funerali da pagare, la famiglia è stata letteralmente spazzata via, le resta la sorella Stella, dal volto della prorompente Valentina Grimaldi. Le due sorelle si ritrovano e commuovono. L’amore crea una forza tra loro, ma il legame è disturbato dal marito di Stella, Stanley, dal fisico scultoreo di Gianpaolo Quarta (Sky e Fox Tv). Una figura maschile che si barcamena tra l’affetto, a tratti violento verso la moglie e l’irascibilità verso la ritrovata cognata. La storia raccontata dalla fragile Blanche non lo convince ed allora comincia a scavare, ma arriverà troppo in fondo e la verità lascerà tutti di stucco. La giovane non è “pazza” come credono ma un contenitore di drammatiche situazioni accumulatesi nel tempo. Nell’amico di Stanley, Mitch, l’ex maestra pensa di trovare finalmente un rifugio, ma l’illusione durerà poco, l’attaccamento morbosamente materno dell’uomo ed i suoi sentimenti poco profondi verso la donna manderanno all’aria un progetto che avrebbe potuto salvare Blanche.
Tutti bravi, tutti che hanno dato il massimo nell’interpretazione del proprio personaggio, anche la simpatica coppia che, di tanto in tanto, irrompe sulla scena, ma la drammaticità di Stanley (Quarta) e Blanche (Mazzanti) li ha impegnati oltremodo divenendo credibili. Alla fine si sono scontrati due animi sofferenti, ciascuno a suo modo. Ciascuno che non ha trovato collocazione emotiva nella vita quotidiana, restandone inevitabilmente naufragati. Lei, Blanche, che non aveva diritto a soffrire ed a manifestarlo, lui, Stanley, che pretendeva un diritto che non poteva essergli riconosciuto: con la violenza non si ottiene nulla e non può essere chiamato amore ma possesso dell’altro.
Nel cast anche Valerio Angeli, Walter Montevidoni, Diana Porcù, Roberto Rossetti. Assistente alla regia Katya Simeoli, musiche Nicola Maraja, scenografie Sir Topone, tecnico luci Damiano Viotti, video Mattia Carchia, fotografia Gianluca Grimaldi.
Il Teatro Petrolini, inaugurato nel 1994, ha portato gli anni’50 a Roma. Un pezzetto di cinema che ha fatto la storia. Dopo “Dispotica” i Bro&Sisters hanno puntato nuovamente su un testo drammatico. Una nobile scelta in una società dove si vuole evadere con grasse risate. Ma loro hanno adottato un teatro impegnativo, l’uomo e ciò che può fare, la donna e dove può arrivare con i propri dolori. Il male declinato nella storia ed in celluloide. La rappresentazione del Male è in fondo lo sforzo di capire quell’alchemica figura che è l’umanità.