
[rating=4] Direttamente da Camera caffè e Zelig Off, che con la sua società Bananas S.r.L. finanzia lo spettacolo, ecco Maurizio Lastrico approdare al Teatro Duse di Bologna in “Facciamo che ero io”, per la regia (peraltro invisibile) di Gioele Dix.
Si ride fin dall’introduzione, dove ci fa un breve curriculum che parte nove mesi prima della sua nascita, al suo concepimento. Da subito ben voluto (“che facciamo lo teniamo? Si no si no… E’ bello sentirsi desiderato!”), supera brillantemente la maturità (“Cosa fanno gli Egizi? Le piramidi Com’è Leopardi? Pessimista Cosa c’è dentro la busta? Cinquemila euro Promosso!”), vive in un paesino vicino Genova diviso tra bar e oratorio (“due posti che hanno in comune il fatto che vi viene nominato spesso dio”), fino alla scuola di recitazione e al suo futuro come cabarettista e comico.
I suoi pezzi risultano molto coloriti ed interessanti, la maggior parte in versi in rima alternata, recitati con stile da sommo poeta dalla gestualità esagerata quanto comica. Per la verità qualcuno di essi appartiene alla sua esperienza di Zelig e quindi sa un po’ di “già sentito”, ma comunque è piacevole vederlo dal vivo fare l’istrione e il cantastorie sul palco. E’ anche bravo ad improvvisare, a parlare con il pubblico, a capirne l’umore e a scherzare in diretta. Questo rende leggero il passaggio da una tematica all’altra, sembra tutto facile a vederlo fare a lui.
Le sue rime non sono per niente telefonate, non si riesce facilmente ad intuire quale sarà la sua prossima battuta e questo è un sicuro punto a favore della sua originalità e bravura. Le tematiche sono prese a prestito dal quotidiano ma anche dall’ambito religioso (è vero quindi che viveva tra bar e oratorio!). Infatti è carino il pezzo dove, nei panni di un indaffarato barista, mitraglia tutti i passanti di divieti e raccomandazioni, oppure nel racconto dove sostituisce le parolacce con i numeri e viceversa, davvero divertente. Se non ci fossero state queste variazioni al cavallo di battaglia dei poemetti in rima alternata, forse lo spettacolo avrebbe avuto una schematicità più rigida fra prosa e poesia. Invece lui varia, racconta e interagisce con il pubblico, scegliendo a caso due persone che saliranno sul palco per recitare uno dei suoi pezzi, oppure recitando le poesie del fantomatico Tino Capuozzo, improvvisate partendo da alcuni vocaboli suggeriti dagli spettatori stessi.
L’applauso del pubblico e i “bis” sono meritati. Uno spettacolo che centra in pieno l’obiettivo di divertire, seppur con qualche parolaccia, un pubblico di tutte le età.
P.s. a vederlo fare a lui, viene voglia di provarci, perdonatemi per questo!
Oh tu che dimori nella ridente città dotta
Volendo potrai veder lo lastricato attor recitare
Invece di solita televisiva soporifera botta
Dovrai ratto la tortellinea cena ingurgitare
(Anche se il brodin a duecento gradi scotta)
E di gran lena al Duse teatro andare…