Alice è tornata “con la magia che solo tante anime belle possono creare” e il viaggio nel sottosuolo, “lontano dalla luce e dai nostri sensi”, è ancora più stupendo e fantasioso di prima.
La storia di Lewis Carroll è stata rappresentata in mille modi diversi, canzoni, film e libri si sono ispirati ad essa e i suoi personaggi, dal Coniglio Bianco al Brucaliffo, dal Cappellaio Matto alla Regina di Cuori, sono entrati a far parte dell’immaginario collettivo di adulti e bambini.
In questa nuova edizione di “Alice Underground“, nata da un’ idea di Brunella e Maria Laura Platania, con la sceneggiatura di Miriam Tocci e le coreografie di Marcello Sindici, si ripercorre la realtà ‘insensata’ e sovvertita del testo di Carrol, rianimando i suoi personaggi e dando vita ad uno spettacolo divertente, allo stesso tempo delizioso e inquietante; due ore di sorpresa continua, in un mondo fatto di scatti di vita vissuta, come fossero delle istantanee. E colpisce assai per la capacità di creare meraviglia e stupore continui, per la precisione dei dettagli, per la ricerca sui personaggi dalle mille sfaccettature, ovvero di tutto quello che si può ricreare in teatro con la magia del sogno. Come a voler dire: la realtà non si guarda più dal buco della serratura, ma attraverso un caleidoscopio. E si rimane a bocca aperta, proprio come fanno i bambini.
Alice piccola (Valeria Borsellini) in questa versione è ancora affiancata da Alice grande (Valentina Simonetto) e, sprofondando sotto terra, dove si annida il “perturbante”, deve inevitabilmente “andar per matti” e fare fronte agli strani personaggi che incontra: il Cappellaio Matto (Giacomo Nappini), la Lucertola tuttofare ( la new entry Roberto Fazioli), il Brucaliffo (Federica Graziani), Humpty Dumpty/Ghiro (Lorenzo Pelle), il Bianconiglio col panciotto (Cristina Giachi), la Lepre Marzolina (Miriam Tocci), la Duchessa malefica (Roberta Maria Karola Cannizzaro), il Gatto del Cheshire (Melania Di Giorgio), la mordace Regina di Cuori (Alina Mancuso), il Re di Cuori/Dodo (Luca Virone), la cuoca (Cristiana Morganti), la regina Bianca (Noemi Maira). E poi i Gatti, i Fiori, le Ostriche e le Carte (Beatrice Rinaldi, Chiara Romano ed Eleonora Tomassi), le Rane e i Pesci/le gemelline Dum e Dee (Manuela Longo e Claudia Pilosu). La nostra eroica ed inarrestabile fanciulla, tra indovinelli e filastrocche dovrà affrontare sfide ed insidie, a prima vista incomprensibili e insuperabili, tuttavia questo inevitabile e doloroso percorso di “formazione” le permetterà di crescere e diventare finalmente adulta, con la piena consapevolezza “che non si vive per accontentare gli altri”.
Al di là del risultato immediato e del successo di pubblico, è la totalità del progetto che sorprende, l’ energica passione che traspare nel voler concretizzare un’idea, “vagamente” folle e rischiosa, di chi decide di portare in scena un testo, tra l’altro rivisitato e reinterpretato da infinite generazioni di artisti, e da cui emergono una moltitudine o, meglio, una “moltezza” (termine usato dal Cappellaio) di interpretazioni, rendendolo comunque un pregevole piccolo capolavoro interpretativo di talenti (aspiranti performer al termine di un percorso di perfezionamento ed attori già professionisti, ma vi sfido a distinguerli!) e maestranze, magnificamente intergenerazionale, un prodotto fruibile e leggibile da qualsiasi tipo di pubblico, e non è cosa da poco. Quello che sorprende è l’alchimia fra di loro: sulla scena nessuno è una semplice e sbiadita comparsa ed ogni ruolo è importante e funzionale nella storia, non ci sono matricole paurose di avventurarsi nella recitazione e nel canto, ma tutti contribuiscono con la loro energia ed il loro talento alla buona riuscita della rappresentazione, vivendo l’emozione del palco e lo stupore del “viaggio” alla ricerca dell’innocenza perduta.
Questa Alice è in grado di far immergere gli spettatore in un mondo capovolto, dove trovano spazio le nostre ansie e paure, ma anche i nostri sogni e i nostri desideri, e condurli in un viaggio, non facile, nel regno sotterraneo dell’inconscio, individuale e collettivo (“perché il viaggio è nella testa!”). E poi c’è la triste, ma realistica, riflessione sul tempo, che passa, scorre e che ci fa correre, perché non dobbiamo e non possiamo permetterci perderlo, ma così è esso stesso a farci perdere di vista gli affetti e le cose che contano veramente. In fondo, quello che ci serve davvero, per qualsiasi cosa, è il tempo e avere tempo da dedicare, contro ogni affanno e impellenza che la vita ci propone.
L’idea degli audaci ed instancabili realizzatori di questo spettacolo è proprio quella di sottolinearne la contemporaneità: le tentazioni, le angosce, le paure che Alice deve affrontare e vincere, in definitiva, sono quelle dei nostri ragazzi (alcol, droghe, solitudine, depressione) e anche se vogliono apparire cinici, freddi, scettici e totalmente disincantati, in realtà sono fragili (proprio come scritto su un piccolo cartello appeso al collo del Ghiro).
Pur dando grande spazio al fantastico e al fantasioso, lo spettacolo riesce a costruire sui punti focali della storia una trama per “raccontare”, coadiuvata da accattivanti e meravigliosi brani, sicuramente meno conosciuti (scelta ardita, ma ammirevole), tratti da musical più o meno famosi, che si rivelano splendidamente azzeccati ed appropriati, nei testi e nei ritmi, sia alle varie situazioni che alle potenzialità vocali dei protagonisti, una squadra di puri talenti, tutti davvero sorprendenti. Bello e tecnicamente riuscito il trucco di scena di Jenny Tomasello, perfetti il disegno luci di Marcello Sindici e la direzione dei cori di Rosy Messina, con l’assistenza di Alessio Ingravalle.